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Il filo dorato

Sto continuando a chiedermi se sono felice

Dimenticandomi però ogni volta la risposta.

Così nuovamente giungo a dire:

Ma se fossi davvero felice, mi starei chiedendo se lo sono?

Come leggerne i sintomi?

Si prova qualcosa come quando si ha fame o sonno?

Si prova piacere ad essere felici?

Quanti forse della mia vita devo mettere in chiaro affinché io possa essere sereno? Quanti dubbi devo risolvere e quanto sudore devo versare su ogni decisione che prendo? E poi, se sono io ad avere in mano il volante della mia vita, perché mi fermo a ogni stop, semaforo, pedone che passa, senza riuscire a concentrarmi sul dove voglio andare?

Mi sembra di intraprendere un viaggio a tappe, in cui tempo e spazio sono unidirezionali e non si può tornare indietro. Ogni volta che posso, mi fermo a godermi l’esperienza del viaggio, facendo diverse soste per bere, mangiare e fare rifornimento. La sera mi riposo e non guido, spesso vado in un bar a far viaggiare la fantasia, più rapida di quanto ogni mezzo costruito dalla mente possa andare. Mi ritrovo il giorno dopo mezzo ubriaco e mezzo affamato e riparto per lo stesso viaggio del giorno prima, senza che niente, essenzialmente, mi sembri diverso.

Mi sembra di evitare giornalmente gli incroci più difficili, quelli in cui se sbagli strada perdi un sacco di tempo e rischi di non arrivare alla meta. Mi pare di non scegliere mai tra due strade completamente opposte, ma piuttosto di intraprendere sempre la strada meno rapida e più sicura, che rimanda la scelta al giorno successivo.

E il giorno che arriverà l’ultimo bivio, quello che non riesco ad affrontare, e dovrò prendere una decisione forte, giusta e sicura come mi comporterò?

Mi immagino di avere davanti due opzioni: la scelta e la non scelta. La non scelta sarebbe il naturale proseguimento del mio viaggio ed affiderebbe al caso tutta la fatica del viaggio finora intrapreso. Nonostante mi reputi un ragazzo fortunato, credo sia vigliacco lasciare al caso una scelta tanto importante: se la strada imboccata fosse giusta, non avrei merito nella scelta; al contrario, se andassi per la strada sbagliata non ne avrei colpa, ma marcirei nei miei ultimi giorni rimproverandomi di essere un codardo.

La scelta è sicuramente la strada più nobile e virtuosa da seguire e, come per l’opzione precedente, la scelta sarà tra strada giusta e sbagliata: se scegliessi la prima potrei scriverne poemi vittoriosi, come un eroe che ha seguito intuito e intelletto e si è costruito da solo la sua fama. Se la strada scelta fosse quella sbagliata, probabilmente cadrei da un dirupo dopo la prima curva, ma fiero di aver scelto la mia sorte.

Scavando tra le possibilità, mi sono accorto di un errore che ho fatto nel considerare le conseguenze delle mie scelte (o non scelte). Le mie parole sono tremendamente intrise di “pre-destinità”, poiché suppongo sempre che ogni incrocio abbia una via giusta e una sbagliata, e imboccata una delle due non è possibile ritrovarsi nell’altra.

Una nuova visione del mio viaggio ha cominciato quindi ad affiorare: dietro di me una lunghissima strada fatta di posti e di persone che ho incontrato e che mi hanno lasciato qualcosa. C’è qualche immagine più sbiadita e qualcuna più a fuoco: la definizione del ricordo non è data da quanto tempo è trascorso, ma piuttosto da quanto quell’immagine mi ha segnato il cuore e quindi il cammino. Qui ci sono diversi incroci presi, in cui la via scartata dura solo pochi metri: quando si sceglie A, tutto ciò che non è A svanisce, e rimane una nebbia di congetture.

In questa nuova visione, sto vivendo nell’attimo dopo l’ultimo istante passato, con lo sguardo rivolto indietro alle immagini che più mi hanno formato. Ciò che ho davanti non lo posso vedere, perché nonostante il mio busto stia procedendo verso il domani, ho gli occhi fissi sull’orizzonte dei miei sbagli e delle mie scelte passate. Spesso questo rimuginare rassicura gli imprevisti futuri, ma se ci si concentra sul fallimento delle proprie opere e non sulla lezione che queste cadute ci hanno insegnato, si continuerà a precipitare senza trovar un appiglio.

Il mio viaggio è una grande retromarcia in cui il futuro è uno specchio retrovisore appannato: più o meno sai dove le scelte che hai fatto ti stanno portando, ma non puoi vedere nitidamente oltre quello che l’oggi ha deciso di mostrarti.

Non esistono più strade giuste o sbagliate e la via davanti a me non si può evitare: io so che viaggerò finché vivrò. Traccerò un lungo filo dorato che mi ricordi da dove vengo, che vi guidi quando me ne andrò.

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