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Mese: Maggio 2019

TAV sì o TAV no?

Maggio 31, 2019

Header image source: https://ec.europa.eu/inea/ten-t/ten-t-projects/projects-by-priority-project/priority-project-6

Quante volte abbiamo assistito ad un dibattito con questa domanda, e alla fine non siamo comunque riusciti a formulare una risposta? Beh, non c’è da stupirsi: del resto, in Italia, le discussioni finiscono sempre per essere litigi, e gli esperti si trasformano troppo spesso in tifosi.

Proverò quindi a fare un ragionamento completo, ma sicuramente non esaustivo, sul tema TAV, che prescinda (per quanto possibile) da ideologie o prese di posizione a priori.

L’argomento va snocciolato secondo i diversi temi che questi tocca: l’impatto ambientale, la crescita economica, l’assetto strategico, la sua funzione sociale. Difficilmente, quando si ragiona di grandi opere, si può accantonare anche solo uno di questi aspetti.

Cominciando con un breve excursus storico, proverò a sottolineare le criticità dello sviluppo del progetto che hanno portato a un siffatto ritardo dell’inizio dei lavori. Checché se ne parli dai primi anni ’90, il progetto è stato ufficialmente depositato grazie ad un accordo di partenariato tra Francia, Italia e UE nel 2001, nell’ambito del maxi-programma TEN-T, dedito a rinforzare le infrastrutture interne all’Unione Europea e a facilitare la connessione tra gli estremi del continente.

Source: http://ec.europa.eu/ten/transport/maps/doc/axes/pp06.pdf

La tratta Torino-Lione, ufficialmente chiamata Asse Prioritario 6 e in precedenza Priorità 5 (buffo che una priorità si procrastini tanto, vero?), è parte di una più lunga tratta che dalla transalpina Lione, passando per Torino, Trieste, Lubiana e Budapest, arriva sino al confine ungherese con l’Ucraina. Ciò, come prevedibile, crea scontenti al di là del confine orientale, in quanto si tenta di avvicinarsi “pericolosamente” all’Ucraina, quando le trattative per la sua entrata nell’UE non erano ancora cominciate (e non si prevedeva un simile shock interno dovuto al naufragio dell’annessione dell’Ucraina all’UE).

Sfatiamo subito un mito: non è vero che la TAV serve ai Torinesi per andare più veloce a Lione. Innanzitutto, la nuova linea non è destinata a passeggeri: come vedremo più avanti, questi non è un particolare da poco.

Parlando di merci, non è possibile pensare che un’opera tanto grande non crei benefici economici (in gergo tecnico spillovers) a tutte le aree circostanti: un esempio dalla nostra Genova è rappresentato dalla possibilità di allacciare il famoso Terzo Valico a questa nuova linea per favorire lo scarico e scambio di merci dal porto non solo alla pianura padana ma persino oltralpe. Vi ricordo che, date le nostre infrastrutture obsolete e innumerevoli altre lacune, il porto di Rotterdam ha un’area di influenza che spazia su tutto il territorio Francese, Svizzero, Tedesco e persino Italiano, siccome è meglio collegato al continente e possiede una capacità di smistamento delle merci altamente superiore a quella genovese.

Source: www.ilsole24ore.com/

Contemporaneamente, alcune criticità riguardo l’efficacia dell’opera, il suo effettivo impatto economico e le troppo ottimiste previsioni di crescita del traffico hanno sollevato dubbi riguardo la funzionalità nell’opera e alimentato i venti contrari alla sua realizzazione.

Nei fatti, le previsioni di crescita del traffico di mezzi pesanti lungo i trafori esistenti del Frejus e Monte Bianco sono state assolutamente fallaci. Il traffico ferroviario sull’intero arco alpino occidentale è sceso dai 50,8 mln/tonn del 2001 a 38,1 mln/tonn del 2009 (-25% in 9 anni), per poi risalire a 42,4 nel 2016 (complessivo -16,5% in 15 anni). Specificatamente per il Frejus, il traffico ammontava a 11 mln/tonn nel 1997 e precipitava ai 2,9 del 2016 (-73,6% in 19 anni).

Source: Wikipedia

C’è un’altra questione macroeconomica da considerare: per quanto il traffico in Europa diminuirà, i costi di trasporto aumenteranno. Questi costi sono in stragrande maggioranza pagati dagli Stati Membri coinvolti, quindi Francia ed Italia, e solo parzialmente dall’UE, pesando così sul debito pubblico italiano, già abbastanza elevato di suo. Come riportato da “Green TEN-T”, il sito-web del gruppo parlamentare dei Verdi Europei dedicato al progetto TEN-T (vi prego di non pensare agli ambientalisti europei come a quelli nostrani: non ostacolano ogni opera, soprattutto se questa aiuterà lo scambio ferroviario invece di quello stradale, ma piuttosto producono studi critici sull’impatto dell’opera):

“Economic concerns are another problem. As traffic declines in the future, the cost of transport will increase. The Milano-Salerno high-speed train line is the best negative example of this. Even the high ticket prices of this line are not enough to pay back the long-term investment and the daily operational costs. Investment costs are mainly paid by the Member States, and only partly by the EU. The high costs would lead Italy to contract new debts; and it already has one of the highest debt to GDP ratios in Europe”

Migliorare le infrastrutture per garantire una maggiore competitività del tessuto commerciale italiano è sicuramente un punto a favore del TAV. Ogni ammodernamento rappresenta un miglioramento in termini meramente economici e di attrattività, nonostante le criticità sulle previsioni di aumento di traffico e la grande spesa pubblica necessaria. Ma a che costo ambientale? Qual è il valore aggiunto che quest’opera garantisce alle popolazioni locali?

Parlando dell’ambiente, molto si è starnazzato e poco si è capito. È evidente che perforare una montagna per 57km con un tunnel ferroviario ad alta velocità è sicuramente un’opera di elevato impatto ambientale. C’è da aggiungere che le valli in cui esso sbuca sono già state ampiamente usurpate da opere di messa in sicurezza, collegamenti stradali e ferroviari già esistenti.

Al fine di valutare la regolarità dell’opera, sono state fatte le opportune valutazioni di impatto ambientale (VIA) e valutazione dell’impatto sulla salute (VIS). Specificatamente per la galleria esplorativa Chiomonte sono state svolte 62mila rilevazioni eseguite da TELT sotto la supervisione di ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), in cui sono stati monitorati 135 parametri attraverso 40 centraline poste ad un raggio di 15 km dal cantiere. Sono state misurate polveri, radiazioni, acque, rumore, vibrazioni e altre componenti biologiche e in nessuno caso sono emerse criticità di rilievo.

Dagli studi geologici, però, emerge che un deposito di rocce amiantifere è presente a circa 400 m di profondità all’imbocco del tunnel, ragione per cui è prevista una modalità di lavoro in ambienti chiusi e opportunamente controllata.

Veniamo al nodo cruciale: se l’impatto economico è minimo, ma comunque vantaggioso, e se quello ambientale rientra nei parametri normativi di tutela della salute, perché essere contro a tale opera?

Beh, la risposta è tanto banale quanto complessa: la politica non ha rassicurato le preoccupazioni delle popolazioni locali, spaventate dalla minaccia di un possibile giacimento di amianto nella montagna, e non ha assicurato un dialogo con i rappresentanti locali che chiarisse i dubbi legati alla realizzazione, magari trattando per qualche ritorno economico, ambientale o sociale maggiore per le aree direttamente interessate.

La tensione che si è creata non è nata dopo la proclamazione del progetto, né tantomeno dopo il suo finanziamento. Sino al 2003, anno in cui l’azienda LTF (Lyon-Torino Ferroviarie) presentò il progetto preliminare di un tunnel geognostico a Venaus, le popolazioni locali non sembravano particolarmente indispettite. Una volta nota la locazione del tunnel, conosciuta dai residenti come zona ad alta concentrazione di amianto, e partito il cantiere sotto la supervisione del governo Berlusconi, gli abitanti si unirono e nacque quello che nel 2005 divenne ufficialmente il movimento NO TAV. Una manifestazione di 30mila abitanti irrompe nel cantiere di Venaus e lo smantella, costringendo il governo a sospendere il proseguimento dei lavori.

Source: Wikipedia

La mancata realizzazione dell’opera non si deve quindi a problemi economici o ambientali, per quanto reali ed esistenti, ma principalmente ad una mancata comunicazione tra i finanziatori dell’opera (governo Italiano, Francese e Commissione Europea) e la popolazione residente.

Gli accorgimenti successivi, atti a rimediare l’errore fatale di imporre senza ascoltare, sono stati fallimentari: l’Osservatorio istituito da Prodi nel 2006 non ha messo al centro le volontà della popolazione né tantomeno ha aperto un vero dialogo con i sindaci rappresentanti delle comunità locali. Nuovamente, si è provato in maniera centralistica ed elitaria ad istituire commissioni per verifiche ambientali, di salute e sicurezza che miravano a provare scientificamente l’attuabilità dell’opera senza però avere la capacità di comunicarla al movimento di protesta, oramai infiammato e sul piede di guerra.

Fatto sta che negli anni successivi ricominciano le trattative tra Italia, Francia ed UE per la realizzazione dell’opera, escludendo costantemente gli interessi della popolazione residente. Nel 2011 ricominciano i lavori, che a stento continuano tra piccoli sabotaggi e talvolta scioperi.

Politicamente parlando, è inutile persino la famigerata analisi costi-benefici proposta dal Movimento 5 Stelle. Siccome si riduce ad un fatto meramente tecnico la riuscita di un’opera, si snatura la vera essenza della politica: l’arte di prendere delle decisioni. Concordo che troppo spesso in Italia queste decisioni si basano solo sulle volontà dei pochi e dei potenti, che siano essi lobby o politici in conflitto d’interessi, ma non è possibile che una forza di governo non si sforzi di ascoltare le richieste delle autorità locali e non intavoli una trattativa.

Vorrei spiegare meglio quest’ultimo concetto: non è attraverso referendum locali, né tantomeno nazionali, che si deve decidere la realizzazione di un’opera pubblica: per quanto pagata dal pubblico, non deve essere decisa dal pubblico. Questo è, credo, il concetto base della democrazia rappresentativa, in cui eleggiamo gente che deve decidere per il nostro bene. Inoltre, strumenti come l’analisi costi-benefici o le valutazioni di impatto ambientale sono obbligatori nonché fondamentali nella fase di progettazione.

Quello che la politica deve fare è semplicemente mediare gli interessi di tutti: delle imprese che costruiranno l’opera, di quelle che la sfrutteranno, delle organizzazioni per la protezione ambientale e persino delle comunità locali. Tutti devono sentirsi rappresentati alla stessa maniera, senza esclusione, senza giochi di potere economico: in democrazia, la nostra opinione vale come tutte le altre, e deve potere come tutte le altre.

Le imposizioni creano tensioni, e le tensioni rallentamenti o ribellioni: una politica lungimirante, che vuole la realizzazione di un asset strategico per il proprio paese, deve essere in grado di coinvolgere, convincere e collaborare con chiunque ne abbia diritto.

Spero di esser stato, durante l’articolo, il più obbiettivo possibile: adesso vi dico come la penso io, e siete liberi di saltare quest’ultima parte.

Io credo che il processo con cui si è creata una tale tensione sociale vada fermato immediatamente. Non penso che in un paese democratico lo Stato possa decidere in maniera tanto autoritaria sul diritto paesaggistico, ambientale e di salute dei cittadini.

Questo può essere fatto in maniera drastica, con una chiusura immediata dei cantieri senza rinvii, o con una totale ritrattazione del progetto che coinvolga tutte le parti civili in causa: è necessario organizzare una riunione di portatori d’interesse che includa i sindaci delle comunità locali, i realizzatori dell’opera, gli esponenti del governo e altre parti chiamate in causa.

Quello che si prospetta è uno scenario opposto al mio, forse troppo utopistico perché troppo “studiato”: i lavori finiranno senza modifiche, tra complicazioni varie, e non se ne discuterà più dal giorno dopo l’inaugurazione.

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Il filo dorato

Maggio 21, 2019

Sto continuando a chiedermi se sono felice

Dimenticandomi però ogni volta la risposta.

Così nuovamente giungo a dire:

Ma se fossi davvero felice, mi starei chiedendo se lo sono?

Come leggerne i sintomi?

Si prova qualcosa come quando si ha fame o sonno?

Si prova piacere ad essere felici?

Quanti forse della mia vita devo mettere in chiaro affinché io possa essere sereno? Quanti dubbi devo risolvere e quanto sudore devo versare su ogni decisione che prendo? E poi, se sono io ad avere in mano il volante della mia vita, perché mi fermo a ogni stop, semaforo, pedone che passa, senza riuscire a concentrarmi sul dove voglio andare?

Mi sembra di intraprendere un viaggio a tappe, in cui tempo e spazio sono unidirezionali e non si può tornare indietro. Ogni volta che posso, mi fermo a godermi l’esperienza del viaggio, facendo diverse soste per bere, mangiare e fare rifornimento. La sera mi riposo e non guido, spesso vado in un bar a far viaggiare la fantasia, più rapida di quanto ogni mezzo costruito dalla mente possa andare. Mi ritrovo il giorno dopo mezzo ubriaco e mezzo affamato e riparto per lo stesso viaggio del giorno prima, senza che niente, essenzialmente, mi sembri diverso.

Mi sembra di evitare giornalmente gli incroci più difficili, quelli in cui se sbagli strada perdi un sacco di tempo e rischi di non arrivare alla meta. Mi pare di non scegliere mai tra due strade completamente opposte, ma piuttosto di intraprendere sempre la strada meno rapida e più sicura, che rimanda la scelta al giorno successivo.

E il giorno che arriverà l’ultimo bivio, quello che non riesco ad affrontare, e dovrò prendere una decisione forte, giusta e sicura come mi comporterò?

Mi immagino di avere davanti due opzioni: la scelta e la non scelta. La non scelta sarebbe il naturale proseguimento del mio viaggio ed affiderebbe al caso tutta la fatica del viaggio finora intrapreso. Nonostante mi reputi un ragazzo fortunato, credo sia vigliacco lasciare al caso una scelta tanto importante: se la strada imboccata fosse giusta, non avrei merito nella scelta; al contrario, se andassi per la strada sbagliata non ne avrei colpa, ma marcirei nei miei ultimi giorni rimproverandomi di essere un codardo.

La scelta è sicuramente la strada più nobile e virtuosa da seguire e, come per l’opzione precedente, la scelta sarà tra strada giusta e sbagliata: se scegliessi la prima potrei scriverne poemi vittoriosi, come un eroe che ha seguito intuito e intelletto e si è costruito da solo la sua fama. Se la strada scelta fosse quella sbagliata, probabilmente cadrei da un dirupo dopo la prima curva, ma fiero di aver scelto la mia sorte.

Scavando tra le possibilità, mi sono accorto di un errore che ho fatto nel considerare le conseguenze delle mie scelte (o non scelte). Le mie parole sono tremendamente intrise di “pre-destinità”, poiché suppongo sempre che ogni incrocio abbia una via giusta e una sbagliata, e imboccata una delle due non è possibile ritrovarsi nell’altra.

Una nuova visione del mio viaggio ha cominciato quindi ad affiorare: dietro di me una lunghissima strada fatta di posti e di persone che ho incontrato e che mi hanno lasciato qualcosa. C’è qualche immagine più sbiadita e qualcuna più a fuoco: la definizione del ricordo non è data da quanto tempo è trascorso, ma piuttosto da quanto quell’immagine mi ha segnato il cuore e quindi il cammino. Qui ci sono diversi incroci presi, in cui la via scartata dura solo pochi metri: quando si sceglie A, tutto ciò che non è A svanisce, e rimane una nebbia di congetture.

In questa nuova visione, sto vivendo nell’attimo dopo l’ultimo istante passato, con lo sguardo rivolto indietro alle immagini che più mi hanno formato. Ciò che ho davanti non lo posso vedere, perché nonostante il mio busto stia procedendo verso il domani, ho gli occhi fissi sull’orizzonte dei miei sbagli e delle mie scelte passate. Spesso questo rimuginare rassicura gli imprevisti futuri, ma se ci si concentra sul fallimento delle proprie opere e non sulla lezione che queste cadute ci hanno insegnato, si continuerà a precipitare senza trovar un appiglio.

Il mio viaggio è una grande retromarcia in cui il futuro è uno specchio retrovisore appannato: più o meno sai dove le scelte che hai fatto ti stanno portando, ma non puoi vedere nitidamente oltre quello che l’oggi ha deciso di mostrarti.

Non esistono più strade giuste o sbagliate e la via davanti a me non si può evitare: io so che viaggerò finché vivrò. Traccerò un lungo filo dorato che mi ricordi da dove vengo, che vi guidi quando me ne andrò.

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Cristalli di sale e bestie di palude

Maggio 16, 2019

Caro Diario,

ti scrivo dal Flixbus diretto verso Hannover, di ritorno da una breve pausa genovese. Con me c’è Michelle ma non Diego, rimasto a Milano ancora un giorno. Abbiamo trascorso una settimana da turisti in quella che ho riscoperto essere una terra veramente inospitale: noi Liguri siamo tanti fortunati a vivere in un posto simile quanto egoisti a non volerlo condividere con nessun altro.

Siamo così, dalla pelle scura erosa dal sale, aridi come le scogliere battute senza sosta dal mare. Diretti come i pendii, chiari come i fondali: quando un Ligure dice A non può che intendere A, e così con tutte le lettere dell’alfabeto.

Non è vero che siamo tirchi: siamo parsimoniosi. Sappiamo quanto poco vale il denaro in sé, ma conosciamo la fatica che costa guadagnarlo. La storia ci descrive da sempre come abili mercanti e tutt’ora non troverai un genovese che non provi a trattare un prezzo: risparmiare un euro non è sintomo di avarizia, ma di rispetto del valore del lavoro.

Il genovese è come il pesto: è difficile capirne la sostanza, ma è immediatamente gustosa la sua fruizione. Non ci sono due genovesi uguali, ma piuttosto diverse variazioni della stessa ricetta: c’è chi è più chiuso, e chi è invece senza aglio; c’è chi è miscio, e chi abbonda di pinoli.

Ho ritrovato amici e parenti, che come fossili non sembrano cambiare con il tempo, mentre io maturo come kaki tra le mele. Sembra come che l’aria salina cristallizzi le loro giornate, in una noiosa successione di pietre e diamanti, che, per quanto belle a vedere, non portano a nulla di nuovo.

Son stato troppo gentile con la metafora precedente, forse perché si parlava di amici e parenti; se mi tocca citare anche gli altri genovesi, non posso che parlare di bestie di palude: ti osservano, poi ti salutano, e alla fine ti sorridono, il tutto senza allentare i tentacoli dal terreno putrefatto sul quale vivono. Come fiere schifose, se indegni di uscire dalla palude, vogliono quantomeno che tu ti sporchi le scarpe con loro, perché non riescono ad accettare chi riesce a respirare fuori dall’acquitrino.

Ho rivisto i Carruggi, sacri e maleodoranti come li ho lasciati. Mi sono ricordato cosa sia la crisi economica e quanto mi faccia soffrire vedere così tante serrande abbassate: pochi temerari resistono o investono, in un ricchissimo tessuto culturale destinato all’estinzione. Temo che l’unica possibilità di rinascita sia una svendita totale della città al business del turismo: se così fosse, dovremmo dire addio alla timida bellezza di Genova, alla segretezza dei suoi portoni, alla varietà delle sue piazzette.

Mi sono riconciliato con il mare, quell’orizzonte perenne che pone la fine alla fatica di ogni giorno. La natura del mare è dinamica, imperituro il suo romanticismo, la sua valenza duplice: apre Genova al mondo, favorendo gli scambi commerciali quanto le invasioni piratesche. Chi, come noi, è cresciuto in questa terra salata, trova insipido ogni paesaggio che non preveda il mare. Le città di pianura non potrebbero essere che laboriose: la mancanza di un orizzonte visivo, l’assenza di un tramonto sul mare ti intrappola in una frenetica e boriosa routine.

Ora è tempo di dormire, il viaggio che mi allontana dalla mia patria è solo cominciato. Ci rivedremo quando il magone per la città supererà il mugugno dei suoi cittadini: fino ad allora, saudade.

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La Grande Balena Blu

Maggio 16, 2019

Cosa spinge l’uomo a volare?

Sarà forse che la vita è troppo banale?

Che l’inverno è lungo da passare?

Che una bimba russa non sa ballare?

Un giorno un matto mi ha detto

Che la pazzia è solo un concetto,

Si esprime in solo mezzo secondo

In quanto tempo si scappa dal mondo?

Mi ha chiamato il curatore

Mi ha mandato un altro video

Piango musica dal cuore.

La vita è leggera come il vetro

A sedicianni, non si parla

Ci si sveglia come niente

4.20 sulla sveglia:

Lavaggio della mente.

D’improvviso tutto il mondo

Crolla in meno d’un secondo

Nessun segno di pazzia

Nessuna briciola sulla via.

Qua si vive tutti sullo stesso filo

E a nessuno importa se non voglio essere vivo.

Chi giocherà con me adesso?

Chi lancerà quest’ultimo sasso?

Non conosco i miei mandanti

Ma so già come finisce

Loro nella Storia, io nei Santi

Chi inventa, mai perisce.

Sono quasi all’ultimo piano

Video pronto in una mano

Mostri e bestie ora ascoltatemi

lascerò una traccia, un post: “Perdonatemi”.

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Giuditta

Maggio 16, 2019

Dolce è la paura di star sola

Persa nei fumi di una sigaretta

Nel caldo abbraccio che ti consola,

Che ti riporta in vetta.

Le pelli stridono

Come ciniglia contropelo

Le labbra ridono

Imbarazzate dietro un velo.

Le mani scivolano sul divano

Giocano a non toccarsi,

Sul petto si cercano invano

Giocano a non sfiorarsi.

Perché giocando parliamo,

Bambini in un asilo per adulti

Comunichiamo e ci conosciamo

Finché non lo trovo, indi esulti.

Il fastidio di recitare una parte

Vanifica coi nasi nello schiocco

Tu sei più tu, sparisce l’arte

E Modigliani ne dipinge l’occhio.

E che occhi, e che tempesta

Di fiumi di sangue e sputo

Un rovo in fiamme, un rogo resta

Fino all’ultimo pelo sparuto.

Della Giuditta che conobbi allora

Rimane la testa nella mano:

Anch’essa mi ricorda ancora

Che si cade, pur scivolando piano

Anch’essa mi ricorda ancora

Che si muore se si sta lontano.

Miele al miele, pane al pane

Riscendiam su questo mondo

Forte chiaman le campane

A lasciar il nostro girotondo.

In uno show, finita la scena

Gli attori posano le maschere

Si scambiano occhiate di cera

E si ripetono frasi oscene.

Come si distingue una facciata

Fatta di stucco e gelatina

Da una faccia innamorata

Rughe cariche di serotonina?

Le risposte galleggiano morte

Su d’un tonico lussureggiante

Pensa che vita avere tale sorte

Saper che dire al primo passante

Le risposte affondano schive

Dentro un gin fragola amaro

Invidio spesso la sorte di chi vive

In quell’attimo dove tutto è chiaro.

Uno spuntino di sesso mattutino

Un contorno tra le risate grasse

Aliti pesanti da una serata di vino

Come se niente più mi bastasse

Aliti di fumo del primo mattino

Dopo un caffè che ci svegliasse.

E mentre cerco una categoria

Che mi spieghi chi son io

Ho trovato una nuova via

Che mi guidi in questo brusio.

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